Biblioteca

Vengo volentieri in biblioteca civica, l’unica che frequento in questa sottospecie di città. E’ un bel posto: edificio storico, in centro, vicino a un supermercato, vari bar e altri esercizi, le poste centrali. E hai solo 15 minuti a piedi dalla stazione.

Puoi entrare liberamente: a sentirti in mezzo al bello anche quando ti vedi una merda, a prendere posto, libri, riviste e giornali, un caffè, un cappuccino o una coca cola alle macchinette, un po’ di caldo, un po’ di fresco, e leggere, lavorare in tranquillità. E senza dover esibire una tessera, o essere necessariamente iscritti, cioè senza dover dimostrare chissà cosa. L’inverno scorso era davvero parecchio frequentata, e diverse persone venivano a riprendersi dal gelo.

A te poi piaceva rifarti gli occhi sui libroni fotografici con dentro i posti più selvaggi del mondo, dove di certo io non andrò, mai. Quella volta che mi scopristi sbirciare le tue pagine, dicesti “mi piace viaggiare”, con un guizzo magnetico negli occhi nerissimi e arrossati, forse dai malanni di stagione. Ti sorrisi; tu no.

Potevi prenderti una bevanda calda al modico prezzo di 50 centesimi e persino sperare che qualcuno te l’offrisse – senza chiedere alcunché, però. A parte quella volta che ti mancavano 10 centesimi e mi domandasti se potevo contribuire alla tua colazione, evitando il mio sguardo, fissando invece qualcosa alle mie spalle – la bacheca degli annunci, forse – con quegli occhi così chiari: come fessure sull’acqua più limpida, tra le sopracciglia lunghissime e la folta barba rossiccia.

Soprattutto potevi usare il bagno, aprire le tue borse tirandone fuori l’occorrente minimo per ripulirti un po’. Mi ricordo l’odore d’alcool denaturato e te in reggiseno color corallo davanti allo specchio  mentre, imbevuto un pezzo di carta igienica, te lo passavi tutt’addosso. Abbassasti la testa, quando mi sentisti entrare.

Un altro giorno – eri più giovane – spogliata per metà ti asciugavi le ascelle con un piccolo asciugamano rosa e, sul lavabo, un numero significativo di detergenti schierati in fila. Mi sorridesti quando incrociasti i miei occhi dentro al vetro dello specchio. Avevi quel fare vivacissimo di chi sta superando il limite d’un tempo concesso, minimo. Ne sembravi quasi divertita.

E’ stata davvero utile, st’inverno, la biblioteca civica. Era forse poco funzionale a certi scopi, ma sembrava buona ad accogliere, e a renderci accoglienti tutti, ridando spessore al valore dei libri tutt’attorno e al nostro essere lì.

Finché non comparve un cartello, accanto allo specchio sopra al lavabo – quello dell’antibagno, ma anche quello del bagno. Vi si vietava l’utilizzo di quegli spazi per effettuare pratiche di toilette personale – mai sorprendersi.

Oggi, dopo qualche mese, ci sono tornata, nei bagni della biblioteca.

Al muro, invece che quei divieti, ho trovato attaccate, sotto plastica, indicazioni sui posti dove andare a lavarsi. Evviva, ho detto lì per lì, la città aiuta, e forse un po’ risolve. Vede, prende in carico, ragiona.

Chissà se anche pensava in questo modo di rinforzarceli, certi confini. Chissà se non era proprio epurare, l’intenzione.

Siamo sempre contaminazione attiva, sì. E magari bastano giusto il coraggio d’incrociare gli sguardi e lo specchio d’un cesso. Evviva, qui davvero.