DIARIO.BZ(12)

Il Talvera, cioè il lungofiume, e castel Roncolo, poi la funivia, Soprabolzano, il sole – prodigatevi pure, datemi ancora i vostri buoni consigli, siete tanto graziosi così. Intanto, io un giro in stazione l’ho fatto, senza partire però – per dove avrei mai potuto? E poi, se parto, mica ci torno più qui. A me piace la nebbia, sto bene nell’umido, adoro le visioni sfumate, il sole in lotte mai del tutto vinte, cioè lo spazio che si fa in continuazione e, facendosi, accoglie tutto, incompiuto, dolce e infinito.
Pur ammettendo il ritorno, comunque, dovrei andare lontano, se partissi. Mica sarebbe un rapido giro. Per oggi, però, ho già stanchezza quanto basta, e poca forza, non sufficiente nemmeno per pensare. Tutta la mattina a distruggere segni, cioè cancellare tracce, per difendere dall’adombramento quell’unica fede che può avvicinarmi Vita. Così ho tolto fino all’ultimo capello, ho lavato pure il non lavabile, mi sono sfinita dentro una doccia interminabile – di nuovo. Non c’è già più il benché minimo odore.
Poi, siccome questa valvola incredibile che è la stazione dei treni funziona, anche giusto al passaggio, ho pensato di andare presso il suo Tabacchi ad attrezzarmi finalmente di piccoli toscani. Servono a tentare auto-riconduzione, fondamentale in certi momenti. L’ho fatto. Ho già fumato. Quindi eccomi in stanza – ancora più stanca. Tuttavia, poiché ho abbastanza perizia di resistenze, e prodigiose, ora mi metto ugualmente a far cose. Ho perizia pure di flessioni, acrobatiche flessibilizzazioni, ed è ciò che più conta. Potrei allinearmi anche con la più assurda delle logiche. Però, solo se fosse  a sufficienza illogica, cioè pura, o purificata – o, anche, in via di purificazione. Poi, ho così tanti dubbi sul reale da non fidarmi delle strade, tutte, né delle visioni. Mi fido più di niente, se non di ciò che parte dall’Incanto. C’è soltanto questo, e devo proteggerlo.