Sto pomeriggio Milano avvicina un venticello facile e contrario. Così, quel non trovare più la dolcezza è stato un vero chiodo fisso, tutto il giorno, catapultata com’ero tra opposti punti di vista sulla stessa questione, anche banale, a reimparare che l’individuale visione vale niente, mentre mi stancavo di avere attenzione, mi stancavo dei mezzi pubblici, mi stancavo delle scarpe e del mio occhio congestionato. Ma Milano è umanità schizofrenica che ti si avvinghia, ti affonda le unghie dentro la carne, rende il giorno interminabile, ti riporta rasoterra all’improvviso dopo averti tenuto per un po’ su proprio quando tu neanche volevi.
Un tipo sinistro, fermo a un angolo con un paio di bagagli chiede al volo, MI DAREBBE IL BIGLIETTO? Non ho capito bene: vuole un biglietto o vuole il biglietto. Non che mi cambi molto, ma… SCUSI? E lui, IL BIGLIETTO, IL SUO BIGLIETTO, MI DAREBBE IL BIGLIETTO? Gli faccio, NO. MI SPIACE, MI SERVE ANCORA. Sospira, SPIACE ANCHE A ME. Poi, salendo su, verso i tornelli vedo una squadra di operatori, mancanti di mitra soltanto, che chiede il biglietto agli uscenti. Quindi anche a me. Domando che succederebbe se non lo trovassi più. MULTA, mi dice un addetto, sgarbato. APPERO’ faccio, col pensiero al tizio incontrato poco prima. MA CHE SISTEMA, CHE GRAN ROMPIMENTO. Mostro il biglietto. E’ esaminato con molta cura. Poi, A POSTO. DOVE ABITA, SIGNORA? Ho un attimo di spiazzamento, ma subito penso al supermercato e alla cassiera che ti chiede il codice di avviamento postale, quando il sistema è in preda alla passione statistica. Non mi pare il caso questo, comunque. PERCHE’, chiedo. E lui, COSI’, PER SAPERE.
Panchine bellissime, al vento. Ho fino a un quarto d’ora, mi siedo per liberarmi la mente da quanto ci s’è infilato sino adesso. Il mio occhio è peggiorato, lacrima e mi fa soffiare il naso. Un uomo in completo grigio chiaro primaverile, alto e secco, brizzolato e con gli occhi chiari, piccoli, s’avvicina, TUTTO BENE? Forse ci siamo conosciuti, chi sarà mai. Non lo ricordo, non parlo. Allora aggiunge, LA OSSERVO DA UN PO’. HA QUALCHE PROBLEMA, HA BISOGNO DI QUALCOSA? Beh, problemi ne ho in quantità, come sarà anche per te, suppongo, ma che c’entri tu, ora, qui.
Però, magari, se non fosse un uomo sarei meno seccata, penso, sì, sono prevenuta, dai, lasciamolo fare. TUTTO OK, GRAZIE, E’ CONGIUNTIVITE, MA.. CHE FARCI? Sorride, LE CONFESSO CHE HO PENSATO PIANGESSE. Non resisto, E LEI DI SOLITO VA A ROMPERE LE SCATOLE COSI’ ALLA GENTE CHE PIANGE? Ride. Dice che non lo fa mai, in realtà, però di certo non è un menefreghista, lui. Mi arriva una fitta. Menefreghista lo ha sempre usato mia madre, come concetto, e io non ci ho mai fatto veramente i conti; sempre tenuto in stand-by. Sentirlo dire in un momento così, mi apre un mondo che doveva rimanere latente. Dico, APPUNTO, SE NON LO FOSSE, IN CERTI CASI SI CHIEDEREBBE SE NON SIA MEGLIO LASCIARE LA GENTE IN PACE. Dice che questa cosa se l’era infatti domandata più volte, fino all’ultimo era rimasto indeciso su come comportarsi, non sapeva se era il caso, oppure no, d’avvicinarsi.
BENE, VADO, STO FACENDO TARDI, GRAZIE COMUNQUE. A Milano è il bluff, il modo.
Mediaworld, Centrale. Ho perso il caricabatteria del cellulare e devo per forza fare delle telefonate prima di sera. Ci metto un po’ a trovare lo scaffale giusto e, quando finalmente arrivo all’aggeggio, poi ci metto un po’ a trovare la cassa. Quando la trovo, c’è un po’ di fila: ho davanti tre altri clienti. Speriamo si sbrighino, speriamo si sbrighino, speriamo si sbrighino…
In effetti, si sbrigano. Tocca a me ora. Ho già tirato fuori la carta di credito e il documento. La signora cassiera sembra proprio rapidissima, mi piace molto il suo stile. Avrà la mia età, o forse meno. E’ bassa, grassa e stanca, con gli occhi allungati, neri, le labbra sottilissime e l’accento molto, molto milanese.
Forse ci riesco a prendere il mio regionale per Verona, ché sono tanto stanca, non ho palle per neppure un altro minuto qui, sbrighiamoci. Invece lei, quando si ritrova in mano la mia patente e la apre, cade come inebetita. Dura pochi secondi, ma si nota, diavolo se si nota. DEVO ANCHE RINNOVARMI LA PATENTE, poi dice guardando me. Cazzo c’entro io. EH, dico, NON SI HA MAI IL TEMPO. Lei, NO, E’ CHE MI SERVE! Non lo metto in dubbio, penso, ma la guardo soltanto. Allora spiega, NON GUIDO MAI, PER QUESTO. MA ADESSO MI SERVE. Dico, EH, SÌ, A MILANO CI SONO MOLTI MEZZI, A CHE SERVE LA MACCHINA. Lei esclama, MA INFATTI, SOLO CHE ADESSO MI SERVE, MI SERVE ASSOLUTAMENTE. E l’ho capito, va bene, sì, ma che vuoi da me. Continua, MI SERVE PERCHE’ MIO MARITO HA… HA UNA MALATTIA, E I MEZZI NON VAN BENE PER ACCOMPAGNARLO A FAR LE… LE TERAPIE. ADESSO STIAMO PRENDENDO IL TAXI, ANDIAMO IN TAXI. MA NO, NON PUÒ DURARE QUESTA STORIA DEL TAXI, DEVO RINNOVARMI LA PATENTE, DEVO, ASSOLUTAMENTE. Cosa ti posso mai dire, io. Mica mi viene in mente niente, così, su due piedi. Poi, in ogni caso, se ti parlassi, ora, banalizzerei ogni cosa. Banalizzerei questo balzare al fondo, al quale Milano soltanto può costringerci. Banalizzerei anche il mio aver perso il treno. E banalizzerei questo bicchiere che mi porto nella borsa e che assolutamente non si deve rompere. BUONA SERATA, dico, avara come mai sono stata. Cosa si diventa…