DIARIO.BZ(37)

Da qui mi parlo, elenco all’altra me i dati e le incontrovertibili logiche, da qui, dalla sbarra chiusa, col palato in fumo. Il cerchio imperfetto della luna, la vasta porzione di cielo color indaco, un albero tra fioritura e sfioritura già, rosa: tutto sa molto di vivo, attorno, nonostante i mali perpetui del mondo.

C’era disperazione per strada stasera, venti minuti lentissimi di tonfi abissali uno dietro l’altro: le macchine placide che mi vengono contro, il piano del marciapiedi interrotto da terribili nodi radicali, alberi carichi, fioriti del tutto, una campana per la raccolta di cartone, un’altra campana per la raccolta di cartone, le loro bocche ampie e vuote, e il giallo su i rami di quegli alberi in fiore, che scorrono in fila indiana, e storti.

Poi arriva una specie di valanga che ha preso tutto in sé e accresce violenza via via: gli anabbaglianti delle macchine alle quali vado incontro, il roar di quando le oltrepasso, la ferrovia, che lascio a destra e senza ammiccamenti, tutto il verde di ieri, le ginocchia in discesa, che si romperanno, poi il vecchio pattino infantile, lasciato lì, sotto a le campane del vetro e della plastica, l’acqua lontana.

C’era come un fuoco. Dentro vi perdevano forma le scadenze e le morti. Mischiava il suo torbido ai monti più o meno distanti, a le poche luci degli aggregati umani, minimi, rimasti acquattati nelle loro pance, ai libri donati nel totem invaso da stoviglie di plastica, pastasciutta e pietà, alla corsa d’un roditore pazzo per la paura.

Stamattina, era molto presto, un netturbino in centro tirava su le cicche dalle fessure tra un pezzo di porfido e l’altro, abilissimo. Poco fa una donna, dall’accento campano, che m’aveva camminato dietro per un bel pezzo parlando d’un lui, al telefono, ad un punto m’ha sorpassata e ha detto: MO IO DEVO CHIUDERE, CHE’ SONO ARRIVATA. Non arrivare, mai.

La disperazione è l’incendio giù nella gola, gli slanci compiuti, l’aria, mancanza e distanza, le foglie nuove, e minuscole, tra fiore giallo e fiore giallo, sui rami strapieni. La disperazione sono io, diaristica, senza invenzioni sempre, se non di nomi, di suoni.