Stamattina s’è affacciata all’uscio della mia stanza e con voce per niente conciliante ha chiesto come mai non fossi ancora sveglia. Ho risposto che lo ero invece, da un pezzo, e che mica l’avevo sentita alzarsi. In realtà stavo ripassando un sogno, lo rimettevo a fuoco, gli facevo posto almeno nella memoria breve. Ha ridetto: COME MAI NON SEI ANCORA SVEGLIA?
Per un attimo ho creduto d’aver solo immaginato di rispondere, di stare ancora in quel dormiveglia in cui le azioni non riescono a sbocciare in concretezze, restano spinta soltanto, a volte veramente forte, anche feroce, ma niente di più. Ho sollevato le spalle dal mio cuscino minimo, rivolgendole lo sguardo. M’è parsa assonnata, ma poi mi sono ricordata che ce l’ha sempre quell’aria da sonno, lei. Ho detto: SONO SVEGLIA DA UN PEZZO IN REALTÀ. ASPETTAVO FACESSE CHIARO PER ALZARMI. Sembrava seccata: NON LO VEDI CHE È GIORNO DA UN PEZZO? SONO LE SETTE PASSATE. NON AVEVI DETTO CHE HAI DA FARE STAMATTINA?!
Ho spinto lo sguardo a la finestra, quindi attraverso gli scuri semichiusi: fuori era del tutto chiaro davvero. Allora sono scattata a sedere, ho preso il cellulare sul comodino: le sette e qualche minuto. Mi sono voltata verso l’uscio per dirle: HAI RAGIONE, ma lei non c’era più.
Gli anni l’hanno un poco indurita, ho considerato, per quanto esteriormente sembra non sia passato del tempo da quando ci si trovava per disegnare insieme e succhiare l’unghia dell’indice dopo averlo infilato nel collo del Ballantine’s o del Vecchia Romagna. A volte rubavamo qualche sigaretta, anche, altre volte frugavamo senza scopo tra i cassetti degli altri. Ero sempre io a spingerla verso certi illeciti. Lei invece era quella che induceva a specie di progetti, o magnifiche visioni, che portavano a zero tutti i problemi delle nostre madri, anche della sua, sì, sebbene non ci fosse più da un pezzo.
Dev’essere cambiata parecchio la mia amica, considerando anche che questa è la prima volta che viene a trovarmi d’iniziativa, cioè senza che sia stata io ad andare a prenderla laggiù, alla fine di via Antonio Gramsci, dove stava e ancora sta. Era già grande, lei, mentre io stavo finendo la prima elementare, quando ci incontrammo la prima volta. Me l’indicò mia nonna, fecendomi notare l’esagerata e sconveniente lunghezza dei suoi capelli – scuri ma non troppo, pieni di onde, bellissimi. I miei invece, castano chiaro, né lisci né mossi, rimanevano sempre più o meno sulla media lunghezza, perché né era pratico, né era sano farli allungare, mi spiegavano. È che arrivavano cicliche ondate di pediculosi e i capelli lunghi avrebbero ingigantito il problema: era questa la logica principale.
Insomma, quel giorno rimasi a guardarla a lungo e lei ricambiò. Poi dovetti andarmene. Continuai a capitare dalle sue parti, almeno una volta a settimana, ci si vedeva. Tuttavia, per un po’ di mesi ci lasciammo abbastanza stare. Ci limitavamo a studiarci a distanza, ci prendemmo le misure, mute entrambe. Poi, ad un punto, mi venne di farle non so più che domanda – certamente riguardava i suoi capelli – e da lì cominciammo a raccontarci cose. In realtà era più lei che raccontava, cedendo alle mie strambe domande e alla dilatazione dei miei silenzi. L’aspetto curioso, a pensarci ora, è che il più delle volte lei raccontava di altri, spesso di me, a volte di mio padre, e davvero raramente di sé. Comunque, tutto si svolgeva nella più assoluta naturalezza. Quel che contava era che ci si capiva, parole o non parole. Per questo la cercavo, credo.
Adesso che è tornata, però, non lo so come andrà a finire. Non ci siamo ancora dette molto – non so neppure come faccia a sapere che stamattina ho molte cose in programma, sono certa di non averglielo anticipato ieri sera a cena. MA TU DA QUANTO È CHE SEI IN PIEDI le chiedo, ritrovandola in cucina. NON DORMO MOLTO, fa.
HAI FATTO COLAZIONE?
SÌ, HO MANGIATO DELLE NOCI FRESCHE, STAVANO SUL TAVOLO DI LÀ, BELLE AMARE.
NOCI? AH, SÌ. BISOGNAVA CHE TOGLIESSI LA PELLICINA..
MA A ME PIACCIONO PROPRIO COSÌ.
BEH, ANCHE A ME. VUOI UN CAFFÈ?
Non risponde. Mi guarda come se le avessi fatto un affronto, dritta dagli occhi grandi – le pupille dilatate per la poca luce. In effetti, a pensarci, non lo abbiamo preso mai un caffè insieme. Chissà. M’appresto ad aprire le tende: FACCIAMO ENTRARE LUCE, CHE DICI? Fa OKAY, e anche con la testa, distendendo d’un tratto i lineamenti. Poi rivolge l’attenzione oltre i vetri. Il cielo è stupefacente, di nuvole piatte, torbide e, laggiù a Est, contornate di cremisi. NON AVREI MAI POTUTO RESISTERE OLTRE L’EST, sussurra, guardando sempre fuori. Non sicura d’aver capito, sospiro: INVECE IO HO SEMPRE IN MENTE DI ANDARE A OVEST.
LO SO, sussurra ancora, confondendomi un poco, perché davvero non credo che in quegli anni io avessi già modo di pensare all’Ovest. La moka intanto respira da fase terminale, il caffè è pronto, e lei chiude il fuoco. Lo versa tutto quanto nel mio bicchiere preferito, ed era un po’ che non lo usavo. La guardo fare, pensando sia proprio uguale precisa ad allora, di fuori. QUANTI ANNI HAI ADESSO, TALESTRE? Risponde: LO SAI BENE QUANTI ANNI ABBIAMO, confondendomi di più.
A QUANTI NE HO IO, POTREI PURE ARRIVARCI, MA COI TUOI HO PERSO DAVVERO IL CONTO faccio, dopo un po’ d’esitazione. Non dice più niente.
leggendo è come vedere ogni momento e movimento nelle sfumature tra voi…
tutto immerso in una sensazione di silenzio intorno, riflessiva senza rumore di pensieri
m’arriva così… da lettrice m’esprimo…
e da scrivente io faccio tesoro delle tue impressioni. Grazie.
grazie a te…