DIARIO.padania(51)

Il ciclista in divisa gialla e nera, come una scheggia subdola e indifferente, mi passa tra fianco e braccio. PERCHÉ NON M’HAI PRESA IN PIENO, STUPIDA UNIFORME TUTTA SFIDA E SPONSOR, SENZA GARBO E NÉ FACCIA.. Non può sentirmi, è già lontano. Acquatta bene la testa dentro le spalle e lo fa ancora di più all’allinearsi, verso est, col rosa nelle nuvole d’un tardo pomeriggio d’ottobre, pieno d’odori acquei, tutto fuochi di spegnimento. Lui fa come stesse caricandosene il peso sulla spina dorsale, quasi dovesse portarle via con sé, le nuvole. Presto, infatti, scomparvero e la notte subentrò quasi a sorpresa, montando anch’essa un’urgenza, passandomi addosso come il più brutale degli istanti. Di colpo è un altro giorno.

Mi racconti la tua rabbia e sembrano una valanga di preziosi le parole, col suono che ha la tua voce; offre un’acustica buona il bar nell’ex periferia della città di tua madre e un po’ anche mia. Stiamo a vegliare l’incrocio di vecchie strade, note: la tua per arrivare all’asilo, la mia per lasciare una casa. Stiamo leggerissime nelle circostanze della tua infanzia ancora bella e della mia giovinezza ritardata, certe che ci s’incontrasse già allora, a dispetto del restarci sconosciute. Quante volte ci saremo incrociate..

Era arrivato con una tale luce il mattino sopra al Brenta. Era opaca, era bianca, si gonfiava di nebbia quasi solida. La prima nebbia, dopo tanti mesi di limpidezza a volte anche all’estremo, mi faceva sentire come dentro un ritorno a casa, che però in verità sta da tutt’altra parte, mi pare, o forse da nessuna parte, comunque certo non qua, per quanto care presenze sempre m’aspettino, ovvero innocenti s’aspettino ogni volta una qualche me. Poi quel bar sull’incrocio e te, pomeridiani e provvidenziali, come il tuo lavoro finalmente, e NON IMPORTA SE NON È IL LAVORO DEI MIEI SOGNI, dici.

Ci conoscemmo che calpestavi il mio solaio, e senza che nessuna di noi due abitasse veramente in quello stabile dietro a un fiume quando si distende e un po’ si slarga – acque di risorgiva e di costanza. Poi c’eravamo perse che ancora eri bambina e ritrovate che avevi imparato, già come da tutta una vita, a solcare lo spavento, dentro a la bella foresta dei significati complessi  dove sempre porti al riparo l’incanto. Tua madre aveva così tanta paura di quello che potrebbe farti il mondo. Le ferite però, riveli, te le allarga tuo padre, ancora e ancora. LO SO CHE È UN POVERO CRISTO, fai, ribadendo tuttavia il tuo rifiuto, l’impossibile mediazione e il terribile vuoto, che cresce. Intanto ci si fa tardi.

La luce era cambiata già a fine mattinata, aveva riportato trasparenze e un certo fremito tra le foglie, intiepidendo le cose, i corpi più esposti. Ora ci pacifica con morbidezza di linee, alleata la quiete surreale nei gesti di ognuno intorno: l’uomo col cane spelacchiato, la barista dai modi delicatissimi, i quattro anziani al piccolo tavolo a giocare a scopa con le napoletane, un altro all’in piedi che ne studia le mosse, il tale col prosecco al bancone, che ci lancia occhiate curiose e benevole. Ci induce a domandarci l’ora, ad un punto, un vento pungente e improvviso dalle porte spalancate. Ci spingono ad alzarci i quattro numeri sul display del cellulare. MA QUANTO ABBIAMO PARLATO, ridi.

È qui un pezzo di casa: in tutto questo sentirci esterne e intime, mezze nuove e mezze confermate. È TUTTA PEZZI LA CASA, penso. E andiamo via veloci; che abbracci, i tuoi! In macchina, in ritardo, mi sperimento come il ciclista incrociato la sera prima, irriguardosa del resto, nuvole a parte. GRAZIE PER ESSERE MIA AMICA mi scrivi poco dopo tu, mentre in un lampo io sono nuovamente piena di riguardo, per tutto, a parte il tempo – si fotta. Non farà giorno poi così presto.

7 pensieri su “DIARIO.padania(51)

  1. Posso dirlo anch’io? Grazie per essermi diventata amica. C’è uno struggimento nelle tue parole, un amore incredibile che fa dire grazie anche a me. Bellissimo quel ciclista che si porta via il rosa delle nuvole.

    P.S. Mi sei mancata in questi giorni.

    1. grazie a te cara Svirgola (ma quanto fortunata sono?!).

      Riesco a passare poco per il blog, in sto periodo, sono vergognosamente indietro con un sacco di impegni presi da un sacco di tempo 😦

  2. “Lui fa come stesse caricandosene il peso sulla spina dorsale, quasi dovesse portarle via con sé, le nuvole”
    anch’io sento di rapirti questa frase e caricarmene l’essenza sulla, nella, spina dorsale…
    sarà che vado in bici e la sensazione m’è concreta…
    sarà che ci carichiamo di ogni creatura negli incroci tra le strade della vita… tutto reciprocamente…

  3. A volte basta un filo di parole/perle (..solcare lo spavento dentro a la bella foresta dei significati complessi dove sempre porti al riparo l’incanto) a illuminare un brano.
    ml
    PS ehm, pedalò spesso in maglia gialla e braghe nere, ma non ho scritte pubblicitarie addosso 🙂

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