Mattino. Città.

Si disgiunge il passo di gente a coppia, rapidamente, esibendo una quasi-indifferenza di fondo. Ciascun corpo diverge da quello accanto senza strappo, con grazia esteriore, e non so se m’appare più uno scambio in fretta e furia, in qualche senso incontro, o più un  allontanarsi naturale da chi intralciava il lavoro del fianco, reciproco. La scena è improvvisa e fulminea, per un istante complessa davvero. E’ un incastro di gesti che si somigliano tutti, fumo precoce e volontario mischiato al caso e a coincidenze che compongono un egregio racconto della fine, forse definitiva, mentre le cose attorno restano come se niente stesse capitando. Non pulsa ancora quest’angolo di strada, sta nella tregua, con i soliti sigilli ai portoni e vetrine buie dietro saracinesche a grata, cestini dell’immondizia traboccanti di bottiglie e d’involucri leggeri, poi volumi notevoli di rifiuti per terra, cicche come fiori in un prato, incastrate dentro a le righe più scure tra un pezzo di porfido e l’altro. Mai potrò dimenticarmi di quei colpi di tosse, profondi, implacabili, tormentosi. Spaccavano il ghiaccio dell’aria come da dentro l’acqua che sta sotto la lastra. Era un’ora uguale a questa, freddissima e poco luminosa. Rimanevano minimi segni del passaggio pacificante del crepuscolo: ormai ogni contorno era emerso, sebbene fosse ancora soltanto accennato. Animava il giorno proprio questo compiersi puntuale dell’isolamento, il riemergere di solitudini consuete e un certo compiacimento, un separarsi-finalmente che solo il mattino lascia sentire in concreto. C’erano le stesse cicche per terra. Ad un punto lei prese a inframmezzare lamenti al tossire, mentre i suoi compagni di strada rifacevano il proprio letto, cercando piano piano di nasconderne il groviglio in questo o quell’angolo, lasciandola infine da sola, ché presto la polizia sarebbe venuta ad accertare lo sgombero, il ripristinato bel vedere quotidiano. Le diede una leggera spinta col piede, l’uomo in uniforme, come si fa con un animale che pare morto e che, se invece non è morto, potrebbe aggredirti, rivelarsi feroce. Il suo collega venne da me. Stavo seduta su un gradino a risparmiare il respiro,  cercando convergenze. TUTTO BENE, mi domandò. LEI STA MALE, feci. LO SAPPIAMO, rispose.

8 pensieri su “Mattino. Città.

    1. il piede del poliziotto?!!! 😉
      Cara Svirgola, grazie, riesci sempre a ravvivare il senso del non gettare via gli scritti…

  1. Sì, davvero. Mi chiedevo come riesci a coniugare così bene una descrizione così vivida della realtà e al tempo stesso a trasfigurarla, è come se fosse una descrizione al tempo stesso del tutto oggettiva ed estremamente soggettiva. Come se ognuno potesse entrarci “vedendo” e al tempo stesso sentendo col proprio “sé”.

    1. Sei davvero troppo generosa, ma mi piace sentirmi legittimata a pensare che, tra le varie cose che mi ritrovo a scrivere, qualcosa si renda disponibile a un grado profondo di condivisione. Grazie. Sai, sono convinta che tutti vivano un po’ “trasfigurando” e forse, al di là delle mere questioni di scrittura, bisognerebbe non snaturare quest’esperienza, bensì difenderla dalle griglie in dotazione, quelle per incasellarci, ridurci. Ma non lo so quanto c’entri..

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