Acqua 2.11

Due docce saltate, ben due, provando a serbarmi addosso il Semplice che aveva inondato da un fianco la mia notte. Poi, però, ieri, caddi immersa nel torbido dell’Adriatico e tra le sue schiume, seguita a piccole spinte dal sole basso nella sera che sale. Era la prima volta, dopo un anno, ed è stato come all’improvviso sentirmi riportare a un’origine, dove stava da tempo già accartocciato ogni esito. Era un’interminabile apnea, sotto la frontiera dei resi, delle mani tese. Era l’odore del pane e non fa ancora giorno, poi un fiore minuscolo al vento, con strati di storie a incresparsi persino sotto al più lieve dei colpi. Era il fragore della morte incastrata tra le gonne, e il bianco indossato per niente a caso. Erano nervi mai più distesi, il cappuccio scuro sulla voliera, poi il verde quasi ovunque ancora acceso, qua. Erano pure le vene d’argento dei campi, con dentro acqua dolce e innocenza: d’un cane furente, d’un foglio da scrivere, del peso che fan le parole e di tutti, tutti quanti i mali, i nostri. La pelle adesso è secca, di sale. E la doccia così fredda..

11 pensieri su “Acqua 2.11

    1. Dora, cara.. Mi perdevo qui, esponendomi a Chi, e anche in continuazione mi trovavo – uguale e nuova – negli incastri di parole di Alterità tra le più preziose mai incontrate. Però m’era così bastevole da sentirlo irreale. Ora no so..

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