Conto gocce da un giorno e la pioggia non ci sommerge ancora. Era acqua impalpabile, siamo fradici e stupiti, adesso, mentre piano penso che potevamo pure farci sordi a certi stridori. E poi bisognava essere più disposti al ridere: di noi, per esempio, d’aver perduto le palpebre.
Ti pulisci le narici dal sangue – dal troppo sentire. Vieni, stiamo un po’ fuori, l’acqua è fredda, avremo sollievo. Ho sgualcito tutte le carte del mazzo, lo so, nessun gioco potrà più essere valido: sarà tutto così serio, terribile e vero, già scoperto ad ogni nuovo principio.
Ci sono scarpe di fango. E nessun passo da lì verso qui.
(Lusinga l’ha oramai spaccato, il petto, allineando gli anni e le vanità senza tregua – non prima che succhiassero Amore, queste, tutto l’amore).