PRENDO L’AUTOBUS disse, rifiutando uno strappo verso la stazione dei treni.
GUARDA CHE POSSO PORTARTI, UN PO’ DI TEMPO CE L’HO, insisté. Gli rispose tra il vero e il non vero, lei, mezzo ridendo e mezzo convinta che usare il bus poteva avere risvolti d’un qualche valore: MAGARI IMPARO UN POCO MEGLIO LA TOLLERANZA, O LA PAZIENZA. Si riferiva a gli odori cattivi sprigionati da gli abiti inumiditi, poi gli aliti stanchi, il miscuglio malvagio dei colori, le forme nel complesso rovinose e il gran peso delle teste, dentro la calca dei passeggeri d’una città nell’ora di punta, tutta ostaggio di un’estate al termine. O del primo autunno, con promesse di buio dalla pioggia che beve già ogni suono, fuori, mentre all’interno fa scrosciare la disperazione del groviglio di routine inscritte nelle carni. Diosanto, se detestava gli autobus!
Ad ogni modo, era il rifiuto adesso l’essenziale, esercitarlo, stavolta che le veniva facile, come del resto ogni volta quando non c’erano di mezzo abbracci, carezze e il bacio, ovvero quando era sopita quella pulsione feroce verso lui, che le aveva strutturato tutta una vita. E che torto poi hanno mai, quando dicono MALATTIA, gli esperti d’amore e d’esistenze, di buona vita e narcisismi..
Hanno ogni torto invece, loro, interpreti finto rivoluzionari e mai davvero laici d’un funzionalismo banale e gretto: come se la via per preservarci in piedi e insieme fosse davvero ucciderli tutti, i mostri tra noi, con intanto l’effetto di deprivare proprio le coscienze più vivide del sentimento sacro della normalità. ALLORA NOI NON GUARIAMO, MAI esortò, senza voce, nella considerazione che forse quelle associazioni d’idee non c’entravano granché col momento presente e con lui. Tacque. Neppure disse CIAO quando lui fece CIAO con voce illanguidita da una specie di pena. Semplicemente, gli diede le spalle e affrontò l’altezza del paio di gradini grigi e zigrinati, sbilanciandosi un poco, con l’odore di caffè vecchio a darle disgusto, ché se l’era rovesciato addosso a colazione e poi s’era scordata di sciacquarsi le mani.
Abbandonando la piazza, sentiva sgomento come quando ti ritrovi del tutto in altrui smisurate mani, e non l’avresti mai detto, da quella che avevi creduto esser solo una rete minima e bastantemente tua, che controllavi – la testa del conducente oscilla come seguendo un ritmo che pare conosciuto. E’ assai lento, e non le piace.
Gran bella prosa, amica T tra occhio, mente e pelle…funziona tanto.
Grazie amico Franz, mi rincuori – sarei anche stanca di non farmi capire 🙃
ti fai capire invece e ti si segue tra umori e sobbalzi con uno stile originalissimo…
bella penna, chapeau!
⌨️
Grazie..
Molto bello, come sempre del resto!
❤️
ciao Romolo..