Gli salta agli occhi la compostezza dei tronchi sottili sotto le chiome vaste degli oleandri bianchi, che s’alternano alle palme altissime oltre la moltitudine di stelle della siepe di pitosforo nano. Luigino adora la flora spontanea, i fiori semplici da bordo strada, il verde in eruzione da crepe invisibili nel cemento o nell’asfalto, quello che la gente normalmente strappa via o imbeve di diserbante. Però, i vecchi giardini sono tra le poche cose che lo sanno riportare a una qualche preghiera, in particolare gli alberi longevi che narrano cura e anche studio, poi le specie fuori moda, che nessuno pianta più. Così Luigino anche oggi prega, cioè s’infila le dita nel cuore gonfio di quello che ha intorno, sospeso in tanta grazia, senza più bisogno d’un battito proprio, né d’un respiro a parte rispetto al respiro del mondo. Questo, almeno, è quanto s’appunta, mentalmente, e che scriverà da qualche parte non appena ne avrà modo. Dopodiché, PER ME E’ FATTO DI MOMENTI COSI’ LO STARE IN VACANZA, dice a chi gli faceva silenzio accanto e che ora gli sorride forse immaginando un poco il suo intimo stato, forse invece no. Questa seconda ipotesi, è questo che rovina tutto, l’idea che chi sta occupando in qualche modo il tuo intorno possa ignorare tutto del tuo sentire, ché a la storia di ciò che passa da uno all’altro umano per vicinanza, fisica, lui mica ci crede. Tutto è ragionevole comparazione di segni attuali con quanto di già conosciuto ci portiamo dentro. E allora bisognerebbe almeno avere una certa abilità a raccontarsi, per contagiare. Luigino, però, è da un pezzo che non lo fa più, almeno non così, a tu per tu. Piuttosto, preferisce serbare il mistero, con chi ha incontrato da poco. Oppure, cerca il conforto del sentirsi riconosciuto, almeno in qualcosa, con chi lo frequenta da un pezzo, o l’ha frequentato per un periodo, anche anni addietro – che importa quanto tempo è passato. NON HO ANCORA DECISO COSA FARE CON LA MACCHINA, dice a un punto la voce incerta di lei, che guarda sempre avanti, verso giù, a i sandali e la polvere che le sta ingrigendo le dita dei piedi. CE L’HO DAL DICEMBRE DI OTTO ANNI FA, SAI. DALL’INIZIO DELLA PRIMAVERA ARABA, PER DIRE. MI SECCA DEMOLIRLA. E lui sorride, pensando che Rita s’attacca alle cose come una vecchia e ha solo trent’anni. QUANDO AVEVO I TUOI ANNI, le fa, rallentando un poco il passo, PENSAVO CHE BISOGNASSE ANDARE, ANDARE SEMPRE: AVANTI O INDIETRO, MA ANDARE, NON FERMARSI, NON CEDERE A NESSUNA IDEA DI FERMATA, NE’ DI SOSTA. PERCIO’ UNA MACCHINA AVEVA LA SUA IMPORTANZA, CERTO. NON E’ DA MOLTO, IN REALTA’, CHE HO COMINCIATO QUESTA SPECIE DI VIAGGIO VERTICALE NEL QUALE SCOPRO E RISCOPRO IL SENSO DELLE COSE CHE MI CIRCONDANO DA SEMPRE. UNA MACCHINA NON HA VALORE QUANDO VIVI QUESTA COSA RIVOLUZIONARIA CHE STO VIVENDO IO. Rita inizialmente pure ha rallentato il passo, poi però s’è fatta di nuovo rapida, mettendosi a strisciare i polpastrelli della mano sinistra sui muri delle case che vanno costeggiando in questa passeggiata che per lui è una specie di svuotamento, come spesso, e per lei una faticosa gestione mentale di certi imprevisti fardelli dell’esistere, delle sue complicazioni materiali. TALVOLTA SEMBRI UNA BAMBINA, LO SAI? Ridendo, lei: VUOI RIMPROVERARMI PERCHE’ TOCCO I MURI? SEMBRI MIA MADRE. Luigino per l’ennesima volta valuta che non ci sarà mai vero passaggio di vita tra loro, ché adesso, per esempio, lei proprio non avrebbe dovuto venirsene fuori con la storia della macchina. Cosa vuoi che importi una macchina, cosa vuoi che valga una questione così contro tutto l’immenso che stava sentendo lui. TORNIAMO VERSO CASA, le domanda già voltandosi e ridando lo sguardo alle chiome delle palme oramai lontanissime, TI MOSTRO A COSA LAVORO STI GIORNI CHE NON VADO IN UFFICIO. Lei lo segue, senza stargli a fianco, chiedendo di che si tratti. SI TRATTA DI FIORI E FERROVIE. MA VEDRAI, fa lui mentre si domanda perché mai abbia usato il verbo lavorare per riferirsi a ciò che non serve certo a sostentarlo e neppure più a fargli fare sogni, o preghiere vere.
“QUESTA SPECIE DI VIAGGIO VERTICALE NEL QUALE SCOPRO E RISCOPRO IL SENSO DELLE COSE CHE MI CIRCONDANO DA SEMPRE. UNA MACCHINA NON HA VALORE QUANDO VIVI QUESTA COSA RIVOLUZIONARIA CHE STO VIVENDO IO”
Sante parole!
un pochino pretenziose… 🙂