Hai mai sentito il nespolo del Giappone perdere una foglia?
E’ mai capitato, per esempio, in un momento in cui eri tutto preso, perché magari stavi con qualcuno, così come stiamo adesso, a fare insieme voli brevi con gli occhi, per poi, audaci quel tanto, posarci sulle parole, arrendendoci a certe memorie, con pensieri di ben poca dolcezza, che pretendono tutta l’attenzione di cui sei capace?
Ti è capitato d’udire la foglia verde del nespolo cadere mentre lottavi con la metà più feroce di te e, i panni madidi di tutti i pianti d’un tempo, capivi che perdevi tu, perdevi senza rimedio e niente avrebbe potuto ormai interessarti, ti fosse cascato addosso pure il mondo intero?
Chissà se ti s’è mai posata vicino una foglia di nespolo mentre te ne andavi da quel sole magnifico e basso che trasforma in mercurio le superfici migliori e apre tratti di mondo in gesti che attraggono ma non accolgono, insidiosi, in un gioco dove quel che vale è riuscire sin dal principio e ogni istante a sottrarsi, e sottrarsi, solo sottrarsi…
Insomma, in momenti così, incastrato e duro, concentrato e intero, ti sei mai trovato con addosso quel singolare brivido risolutorio che solo la foglia del nespolo giapponese quando tocca terra sa dare?

Allora lo sai. In una pur brevissima frazione di tempo la foglia, con la voce che ha preso d’un tratto, atterrando (una voce istantanea, col suo termine già nel dischiudersi, e pur tuttavia notevole), sa forzarti ogni volta all’indietro quel tanto da condurti con precisione nel punto in cui s’era staccata dal ramo, quando pure aveva fatto rumore – ma così lieve… TAC.

Quel suono, per te, non c’era stato affatto, mentre si compiva il distacco. L’hai udito solo adesso che quanto l’ha prodotto è avvenuto da un po’, e dopo che la foglia ha attraversato la data distanza, più o meno verticale, forse breve o forse no, superando le insidie col peso e una forma la più consona. L’hai udito solo ora che s’è posata a terra. Nel canto finale hai sentito il principio (della fine).