SIAMO COSÌ IMPRECISI

Ancora a guardarsi e riguardarsi come se davvero ci fosse necessità di svelare il punto esatto della differenza, la ragione della non somiglianza, poi come fosse solo uno il nodo da sciogliere per poter dire IO, poter dire TU e, dunque, potersi parlare. Avevano passato tutta la notte così, soltanto in parte confusi l’uno con l’altro, mischiati dalla luce fioca di dentro, divisi da quella bianca di fuori, dai nuovi lampioni a led, fortissima. Ne erano usciti mezzi sfatti, e mezzi gloriosi per l’interruzione della routine, per non aver assecondato i corpi, cioè la stanchezza, il cedere dei nervi, il prurito sotto i capelli, il sudore dietro i bicchieri di rosso e dentro la trapunta, eccessiva per la stagione.  C’erano foglie mezze secche da calpestare ora, mentre l’umido del mattino e quello dell’autunno insieme facevano colare i lineamenti dei pochi passanti che incrociava, e i suoi, anche. SIAMO COSÌ IMPRECISI pensò, guardandosi alle spalle – c’era nessuno. SE NON LO FOSSIMO, DEL RESTO, NON STAREMMO SEMPRE TUTTI A FARCI RECIPROCAMENTE DA SPECCHIO si disse, coi sensi precipitati in quella quiete quando si fa lentezza esagerata, lentezza di tutto tranne che dei nostri gesti. Solo l’intorno, cioè, andava fermandosi.
L’argomento che aveva dominato la loro notte era stato quello del donarsi come presunzione, e le dispiaceva non riuscire a tirarne le somme adesso, a recuperarne emersioni e punti rimasti oscuri. Quasi niente ricordava, neanche se – e in cosa – si fossero venuti incontro. E forse era anche per quanto s’erano detti che ora andava pensando che siamo imprecisi, tutti imprecisi, sempre imprecisi, anche quando c’inganniamo del contrario, mentre con crescente chiarezza sentiva che quel poco di amore era stato performance anche stavolta, come uno sport, una gara, una prova da superare. TU COLLEZIONI METAFORE ADDIRITTURA PEGGIORI DELLE MIE aveva esclamato lui quando tra le carezze gli aveva raccontato di come quella cosa comunemente detta PROGETTO era, per lei, come quello stramaledetto tempo verbale del futuro anteriore, che non aveva mai imparato a tradurre – non lo sapeva neanche coniugare tutto. Allora era passata a dire della signora coi boccoli: SAI, HA SCURITO LA TINTA DEI CAPELLI, NON È PIÙ BIONDO CENERE. Era la donna che stava al secondo piano dell’edificio di fronte, e aveva le finestre – camera e cucina – che sarebbero state perfettamente corrispondenti con le sue, camera e cucina, se non fosse per il bagno in mezzo alle due stanze. L’aveva rivista dopo molti giorni, riaffacciata alla finestra spalancata al crepuscolo del mattino, con alle spalle le cose della camera da letto disegnate appena da una debolissima luce giallina. Ne aveva provato una certa emozione.
Come tutto quanto finisce, per chissà quale oscura ragione, in libera caduta dentro la canzone che giorno per giorno ci sale dentro, la signora dai boccoli disponeva d’una buona dose di magia. Non s’erano parlate, mai. Mai incontrate sguardo con sguardo. Anzi, non l’aveva vista che alla finestra. Tuttavia, il mezzo busto esile della signora, da subito, s’era inscritto dentro la sua mappa delle salienze di quel posto, dove era andata a stare da qualche mese, senza scelta, e dal quale contava d’andarsene presto. QUELLA VOLTA CHE ME L’HAI INDICATA NON TE L’HO DETTO MA M’È PARSO CHE UN PO’ TI SOMIGLIASSE fece lui, e ciò la contrariò parecchio, più di quell’uscita sulle metafore – la signora coi boccoli aveva almeno settant’anni. Fu qui, esattamente qui, che erano passati a parlare del dono che a volte uno vuol fare di sé con tutta l’aria di chi si sente prezioso, accoglibile senza ombra di dubbio e finanche degno d’un qualche ritorno. Stamani, però, neppure ricordava come la pensava lui, su cosa precisamente s’era rivelato in disaccordo con lei, convinta da sempre che dovremmo rinunciare a donarci così, quando ci piace, magari facendolo invece quando richiesto, cioè solo se richiesto.
SIAMO COSÌ IMPRECISI ridisse tra sé, considerando ancora che ricordava niente tranne un brutto senso di disistima a farsi sempre più spazio – quel che intendeva, forse, è che lasciamo sempre troppo margine per gli aggiustamenti. Comunque, adesso, contava solo affrettarsi. Era tardi e l’umido cominciava a corroderle i movimenti, a cambiare anche il suo, di ritmo, e c’era tutto il ciclo d’un giorno da compiere, prima che tornasse notte.

2 pensieri su “SIAMO COSÌ IMPRECISI

    1. ❤️
      (La concretezza a volte è un imperativo feroce. A cercare altrove. O persino a non cercare).
      Quest’intermittenza..

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