1 calzino

Un calzino sì e uno no. Comunque, i piedi le han dato un bel brivido entrambi, appena toccate le lastre di porfido, freddissimo nonostante l’autunno sia solo al principio e un mezzo sole abbia battuto quel lato del piazzale fino a un paio d’ore addietro.  L’ampio pezzo di moquette color nocciola, nell’androne rivestito di marmo grigio-nero, aveva prolungato la sensazione mite dell’atterraggio in ascensore. S’era aggiunta la scoperta dolce, poi, della manciata di corolle di un qualche tipo di elianto, mai viste prima lì. Si soprelevavano dai ciuffi di verdi vari di una piccola aiuola.  Così, era sparita del tutto la vertigine dell’avvio, lo stacco quasi strappo da una base indiscutibilmente stabile, il terzo piano, per un precipitare improvviso, con tutta l’incertezza del domani che penetra nel presente e quasi lo strozza, tremenda, ma senza finirlo del tutto. D’altra parte, questo era quel che più di ogni cosa le piaceva, di quel palazzo: la partenza violenta dell’ascensore nella discesa. Lo prendeva apposta, anche se tre piani di scale li avrebbe serenamente fatti a piedi, così come se li faceva in salita, ogni volta che rincasava, fretta o non fretta.
Era scesa in cortile giusto per recuperare il calzino mancante, caduto giù per esser stato sfiorato da un gomito, cosí appoggiato in malo modo com’era, in tutta precarietà, sul bordo minimo del parapetto in vetro. Si era trattenuta a lungo sul terrazzo stasera, a gustarsi il tramonto massaggiandosi un piede, ché da quando un tizio in monopattino l’aveva investita, quasi un mese prima, c’erano momenti che lo sentiva come non più suo e ogni volta doveva penare per convincerlo a starsene ancora attaccato alla caviglia. Tuttavia, non erano state granché, stavolta, le evoluzioni della luce tra i palazzi,  da vetro a muro ad altro vetro e da muro a rame, il cemento e il cotto, sui tetti, poi oltre, dietro qualche addensamento e inconsuete forme nel cielo. “Devi venire a Roma, se ti piacciono i tramonti”, le aveva ripetuto per anni una sua cugina, morta prematuramente, da oltre un lustro ormai. “Lo dicono tutti, le ottobrate romane sono un qualcosa di eccezionale, di imperdibile” e quest’anno lei non se le voleva perdere. Dunque, era in partenza. Però, un poco le dispiaceva lasciare Milano per cinque lunghi giorni proprio ora, nel farsi dell’autunno, quando i muri non si scaldano più da fuori e allora qualche sorta di fuoco comincia ad accendersi dentro e le costruzioni, belle o brutte, assumono tutte un po’ l’aria di castelli custodi di qualcosa di fondamentale per la salvezza del mondo. Allora, da ogni dove, luci e lucette escono per le vie e, senza troppo intrecciarsi tra loro, creano santi percorsi, come guidati, e innumerevoli. Puoi scegliere il conforto migliore per te, insomma, liberamente, o quasi. Al pari di pochissimi altri momenti, a ottobre qualsiasi linea chiusa di pareti sembra volerti stringere in una promessa – stare bene, come no. Così, portoni e vetrine richiamano a sé le prime giacche pesanti, dimenticabili ombrelli, zigomi freschi quel tanto, poi tutte le parole, scambiate senza averlo troppo voluto, che ci configurano sempre sconosciuti reciproci, colleghi in qualcosa e preziosi. É quel gioco di tepore e umanità che ci piace tanto forse proprio per il fatto che resta quasi solo immaginato: mica porta a niente, perché serve proprio niente, qui, nel cuore della socialità più effimera – effimera persino più dell’equilibrio nei bilanci familiari e del nostro comandato senso di salute e di bellezza.
É in ottobre che Milano ti gonfia veramente d’agire e aspettative, e tu quasi leviti o, comunque, perdi peso, tanto che a un punto, come niente, voli giù dai parapetti, via dalle radici senza più terra nei vasi con fiori moribondi, sui terrazzini, via dai posacenere stracolmi di cicche e acqua scura. Scendi in strada più leggera di un calzino finissimo. Tagli l’aria per lunghi tratti orizzontali misti a ben brevi salti diagonali. Plani senza danno e, soprattutto, senza averne poi sentore alcuno, dell’arrivo. Neppure t’accorgi d’aver toccato il suolo – una base ancora, il tuo forse irriducibile Sotto. Chissà Roma che effetto fa, invece.
Lei ha messo già l’abito giallo in valigia, poi scarpe nuove ma comode – per via del piede, il sinistro.

16 pensieri su “1 calzino

  1. ..magnifique! La tua scrittura ha accenti originali e mi ha presa.
    Non ha una sbavatura nè errori ( spesso ne incontro):o sei una buona lettrice o hai fatto il classico, dai confessa…

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