Sera

Ecco, il crepuscolo sta arrivando su tutto, sul rosa della malva fiorita, lì, e sul mio geranio parigino, qui – è rosso sangue, e la dice lunga. S’increspa tra i suoi petali a cuore, poi aderisce alla palmatura delle foglie e un poco le chiude. Mischia l’ardire di questa estate di reinvenzioni alle memorie di grazia inattesa di certi terrazzi di periferia, specialissima cura versata sulla congestione di sbagli e disprezzo, sul grigio, sull’asfalto succhia-respiro, sulle auto in doppia fila, sull’incrocio inferocito. Là riuscimmo a vedere bruttezza anche nel bambino che s’avvinghiava a sua madre quel mattino, quando sentendosi un poco smarrito la scorse, fuori orario, con stupore e, lucido come mai prima, valutò che sì,  lei c’era – che importa se poi non riusciva a proteggerlo. Eravamo già abbastanza distanti da loro, già esterni. Adesso, oramai, siamo su un altro pianeta, diresti. E’ questa sera che leccandosi il giorno tutto quanto fino all’ultimo velo di rosa mi riporta di nuovo dentro quei mattini, dove ricapitammo come da programma e una volta per sempre disimparammo la lingua – troppo indaffarati, troppe pulsioni, troppe cose. Tu leggevi il giornale al bar appena aperto, io percorrevo strade che mi sembravano nuove e spiavo dalle grate e dalle ragnatele dei seminterrati: l’affollamento di oggetti in disuso, rottami domestici, indistinguibili più o meno, l’odore solito delle cantine. Il mattino ci ridisegnava sempre solitari e al minimo grado di amore. Ci rimetteva a posto, ci rifaceva piccoli, sì. Ma è appena sera, adesso, e la gente qui, in tenuta sportiva e inguantata di autan, ha ripreso a passare veloce, parlando al telefono appassionatamente.

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