Ci voleva maltempo, perché tu tornassi. A riportarti tra le cose, però, non fu l’atmosfera cupa, il buio improvviso e il freddo che adagiavano antica apprensione sulle figure, su ogni forma. Né fu il reiterarsi di quel fragore minaccioso che ti serviva, di solito, a rimpicciolire le dimensioni del sogno, riconfondere il limite tra il voluto e il capitato. Lo scroscio, continuo nonostante arrivasse in brevi moduli diversissimi per intensità, ad un punto ti sembrò il riversartisi addosso, a secchiate una dietro l’altra, d’un veleno vischioso che sapevi partito anche da te qualche volta – ora ti colpiva del tutto esterno, violento, vendicativo. Ma non ebbe chissà che effetto. Certo, quel conflitto irreparabile, segreto ormai da tempo e subdolo, tra te e quasi tutto il resto – se è tutto, quel che sta nel cuore – ti sembrò essersi fatto di botto grumoso, concreto e innascondibile. E in altri tempi, questo sarebbe bastato a rimetterti al tuo posto, tra le vite innumere e faticose anche più della tua, nel dato per scontato, equivocamente necessario, del daffare generale, del lavoro e dell’impegno – il contributo al riprodursi ostinato della parte astuta del mondo. Stavolta, occorse ben altro.
Grandinava – e ti piaceva. I grani di ghiaccio s’accanivano soprattutto sulla gentilezza, su ciò che era sottile e fragile – e questo non ti piaceva affatto. Accadde mentre ci riflettevi. I cristalli colpivano senza distinzione tutto ciò che non sapeva nascondersi, anche le foglie gonfie di luce del basilico d’un orto forse vicino o, forse, inesistente. Fu il liberarsi poco per volta del suo odore, a cambiarti di nuovo. Prima, era stato un lieve sentore ondeggiante tra presenza e distanza, un’impressione, come un rimasuglio d’un viaggio felice fatto anni prima e quasi dimenticato. Poi, divenne fragranza totale, sovrastò ogni altro sentire: quest’inatteso ti rimise al mondo, sì. Ti riportò del tutto interno, e insidioso quel tanto da sgranare qua e là domande considerate infantili. Ti condusse sino a dopo il temporale, accanto a ogni paio di gambe che s’aggirano nude nei giardini tra lo stupore per ciò che s’è salvato, l’impazienza a ricucirne le vesti e i sorrisi distratti nel dire Cosa-vuoi-che-sia a te che vai domandando ubbioso di quel basilico.
C’è la Tempesta del Giorgione. E subito dopo, la tua.
Ahahahaha, ma solo perché non t’è tornato in mente Temporale, dei canti di Castelvecchio 😀
[…]
S’è sfatto il cielo: a scosse
v’entrano urlando i venti
e vi sbisciano i lampi.
[…]
Vero…ma in fin dei conti ritengo preferibile il riferimento a qualcosa di visibile e non solo leggibile, proprio grazie alle tue parole.
Raccontare con un lessico sciolto e originalissimo il proprio sentire è per pochi eletti.

Son arrivata alla fine e avevo ancora fame di tempesta.
che super platea! 😀 😀 😀
Splendido post, in particolare per quanto riguarda la descrizione naturalistica che hai inserito nella parte centrale.