oggi gennaio

Il solito argine, cerchi nell’acqua, un gatto, il suo sguardo agganciato a un punto lontano, stufato di verza da una casa di fianco, tutta la noia dentro la cuccia vuota del cane e il gonfiarsi lento di  quasi tutte le forme qui fuori: di questo racconta oggi gennaio, livido ben più di ieri. Lasciare, rinascere, darsi, perdere, andare: abbiamo puntinato l’intorno di vuoto. Se solo avessimo scelto cliché differenti. I piccoli orti sembrano rimasugli di storie che non racconteranno, mai. La vanga, il badile e gli altri arnesi: al riparo. Una scopa in saggina s’appoggia al prugno sottile, mentre la donna cerca le sue ciabatte di fango. Ancora questa luce densa che ci scontorna – ma quand’è che cambia? Le galline spaventano sempre a morte i bambini? Un’altra donna, più avanti, non si ricorda più se quell’uomo gli è figlia o sorella, gli chiede: chi sei. E poi: cara, ma quando sei tornata – mentre lo fissa all’altezza del petto. Però lui non oltrepassa da mesi il recinto, e di rado anche la soglia – lei vede sempre solo quello che vuole. Mi stanno a cuore queste voci da poco lontano, che non mi parlano ma mi ricuciono senza trafiggerti. Mi stanno a cuore il guscio bianco al mattino che prende di ogni foglia la forma e questa stagione, che ci annoda i muscoli del collo, poi ci strappa le labbra con un segreto e un incerto sorriso. Il calicanto è un fiore liquido, ho scoperto. E il nespolo del Giappone finalmente riprende a far eliche di petali bianchi – se ce la fanno ad aprirsi, mi reinventeranno gli occhi.

nespolo

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