I_Miei_Vicini.5(Lella)

L’unica ragione che la porta fuori il pomeriggio sul tardi, tra i recinti ancora roventi, è la pesantezza sospesa che l’immensa buganvillea ti riversa negli occhi asserendo che c’è una sontuosità irriverente nel poco e poi urlandoti dietro che non capisci niente, mentre l’oltrepassi dopo aver lanciato un’occhiata alla casa cui s’appoggia nel dubbio se non sia lei invece a sostenere l’edificio.

Raggiungerà il parco appena uscita dall’isolato di case basse, di auto parcheggiate perennemente in divieto e di cani mai stanchi di presidiare confini. Poi siederà sull’unica panchina all’ombra, tra gli aghi secchi dei pini marittimi e si sorprenderà del bianco rosato di un convolvolo in emersione – sotto i pini non cresce niente, le diceva sempre suo marito. Penserà, sorriderà, tremerà immaginando come sarà l’indomani pomeriggio: certamente avrà ancora meno forze di oggi, la temperatura sarà persino più alta di questi 37 incredibili gradi, il cielo ancora meno terso e gli inquilini del piano di sopra, dopo essersi sputati l’un l’altro veleno in portoghese per tutta la mattina, annienteranno ogni slancio collettivo in un misto fastidioso di singhiozzi – lei – e tremendo silenzio – lui. Certo, ci sono varianti disponibili. L’indomani pomeriggio potrebbe essere diverso. Ma la gamma delle possibilità è nota, oltre che ristretta: niente sarà veramente sorprendente, e i bambini di queste case, qui attorno, saranno già grandi, anche domani cresciuti in un batter di ciglia senza che qualcuno abbia saputo immaginare la giusta chance per loro. Anche domani, insomma, sarà tutto perduto, pensa. E rivede Sabrina, le guance rosa, la treccia lunghissima, una vera maga delle tabelline, immaginava di fare il medico. Così anche Davide, lungo e sottile e col pallino del berretto in ogni stagione, finché non s’é rinchiuso in una stanza. Nessuno va mai dentro da vent’anni quasi, a parte la madre, che si lamenta sempre della sua scarsa propensione all’igiene: non vuole farsi né barba, né capelli, e in aggiunta si lascia lavare pochissimo. Sabrina ha sempre lavorato nel piccolo negozio dei suoi, invece. Ed ora che tutto è cambiato, poiché non riusciva a tirare avanti senza rischiare che l’indebitamento si facesse irreparabile, l’ha chiuso. Perciò, bada a qualche anziano a ore, ché sti anziani, qua, non possono permettersi di più. Allora, le vien in mente Rosa, così pallida e tonda, così dolce con tutti. Sì, lei l’aveva immaginata proprio al suo posto, insegnante: se non alle elementari, magari alle medie, o alle superiori. Invece, ha sempre fatto la stagionale: dodici ore a sgobbare nella cucina di un albergo, o di un ristorante, estati che ti consumano, inverni che ti senti così povera di senso… Ma almeno c’è la disoccupazione, così vai benedicendo santa estate, ché se non ci fosse andresti battendo la testa contro i muri ogni stagione. Lo stesso fa Peppe, benedice l’estate. Doveva fare il manager, lui, per quanto era sicuro di sé, il più di polso e determinato di tutti. S’è ritrovato invece a fare il guardiano di un campeggio da maggio a ottobre, e fortuna che gli dura da anni – l’università: mai finita. Ripensa anche a Marietto. I suoi non abitano più laggiù, all’angolo con via Lago Maggiore; si sono spostati solo di un isolato, in una casa molto più piccola. Hanno sempre avuto cani discreti, i soli che non abbaiavano, a nessuno, ma forse erano troppo discreti anche loro e non gli hanno mai messo un vero freno a quel figlio così esuberante, che ha mezzo ucciso sua moglie solo perché voleva lasciarlo. Ma che puoi aspettarti da un drogato musone – adesso, ché da piccolino era un gioioso vulcano di gentilezza, diceva sempre ciao Lella, anche da lontano, ciao Lellaaaa, e tu magari non lo vedevi ma gli rispondevi forte, ciao gioia mia. Gliene tornano in mente tanti altri, di bambini, come spesso. Queste memorie, dono dei suoi passi lenti e incerti e della pressione bassa, sono la continua conferma di come sia tutto sbagliato, il mondo, e l’esistenza nient’altro che un agguato a ciò che siamo davvero. Ed è importante saperlo, non scordarsene, ripensarci sempre. Le compare un bambino quando si sofferma all’ombra di una casa, quando l’occhio le va verso questo o quel cortile, quando avverte un movimento tra le tende dietro una finestra, quando scorge una sembianza familiare che parcheggia un’auto mai vista – il figlio di, o il figlio del figlio di. C’è sempre un bambino caro qui, per questo non ama allontanarsi dal quartiere, prendere la vecchia Panda 4×4 e fare le sue passeggiate dove è più fresco, magari al mare. Il punto è che, nonostante i suoi molti anni, qui in quartiere non ne ha visto ancora uno, o una, che abbia fatto quel che suo padre chiamava il salto, il vero salto. Certo, qualche professionista è venuto fuori, un medico internista e uno psicologo, persino, poi una avvocatessa, un professore universitario nel ramo dei computer, una ricercatrice di biologia – molecolare, forse – e qualcun altro che ora non le viene in mente. Ah, sì, ecco, c’è pure uno che scrive per la televisione, ma non solo, e pare goda di una certa fama nell’ambiente. In realtà, però, a conti fatti, non han saltato un bel niente, loro. Forse, quella di suo padre era una narrazione inverosimile di come possono andare le cose, perché in generale, qui, i figli, quel che fanno è, anzitutto, disseccare le storie dei loro vecchi – e fortuna che c’era, qualcosa da disseccare.

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