Si chiude, il cerchio

fotografie di Andrea Repetto 

(da “scatti sulla bicicletta” – mostra a cura di Carlo Pesce)

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Era una di quelle volte in cui ti trovi dove tutto ti era ignoto e ti fermi in un paesello qua e uno là, un po’ a caso e un po’ con intenzione, un po’ scegliendolo perché il nome suona bene e un po’ perché tempo fa un amico ti raccontò quanto graziosa è la sua parte vecchia. Talvolta ti fermi perché, passando, a quell’ora chiara di primavera e tra gli odori intensi, t’arriva come un richiamo e non resisti. Era una di quelle situazioni in cui ti senti aperta, del tutto, ma non sei stata tu. Ha fatto quasi tutto lui, il mondo, cioè quei posti incontrati per la prima volta. Insomma, era uno di quei casi in cui sei attraversata, continuamente e per qualche istante con squarcio, anche – però senza sentirci errore.

In momenti così può accadere che alla fine del giro qualcosa ti faccia decidere che era lì, proprio in quei luoghi, che doveva passare la linea del tuo cerchio in chiusura. Così torni a sentirti dentro a un qualche prodigio: gioia, e non importa il resto. Ecco, questo era quanto le capitava in quei giorni di marzo, spartita tra le curve, le salite e discese, le ombre, le grate, i vecchi muri e i mattoni, il porfido, i sassi e un’auto lasciata lontano. Ben separata da il gran nero e il torbido, da l’amica insonnia e tutti i fondi toccati nel più recente passato, se ne andava ondeggiando dentro i pomeriggi, dopo mattinate lunghe e un certo sfinimento. E poteva pensarsi esattamente lì, tutto sommato intera, a incontrare con precisione il silenzio e i suoi ricami pazienti, certe cose nascoste e le loro voci inaudite.

Ad un punto s’imbatté in un divieto: un cartello stradale, uno come tanti, col suo scontatissimo tondo di sempre, ma improvviso. Improvviso apparve pure un tombino, e il suo cerchio di ferro, vecchio, che portò l’occhio a sezionare il tubo e la colonna, e ad altre operazioni così, insomma: a cercare il tondo. “Si chiude, il cerchio”, s’era detta infine. Certo, si chiude come nel vaso da fiori e nella corona sul muro, nel buco degli anelli alle dita, nell’iride gonfia di luce e, poi, nella ruota. Le ruote, le due ruote a pedale, amate così tanto – e quante qui -, pronte sempre a un giro, a la spinta, il moto, l’attrito, la brezza, il fiato, mentre un tonfo, lontano, suggerisce acqua.

Allora lei considera che si chiuderà pure la curva della distanza tra chi s’era dato e ridato le spalle. Pensa: “sarà un vero cerchio, compiuto, e senza dover riportare la fine al principio, cioè senza te che t’affanni a riprendere te, perché l’incontro è dove il cerchio si chiude ma non ti chiudi anche tu”. (tiz)

 

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