Scala d’attesa

I cancelli sono ancora chiusi su in cima alla scala dove le persone se ne stanno sparse, mantenendo il metro di distanza l’una dall’altra, a parte quelle venute in coppia. Non c’è una bella luce. Sembra che il sole ci sia anche oggi, sì, ma chissà dove sono le ombre lunghe e nette dei bei mattini d’estate. E il profumo del ligustro fiorito, il suo sapermi placare le ansie da lavoro arretrato e da rimprovero, dov’è?
Tutti indossiamo la mascherina, pronti a entrare. Anche l’ultimo della fila. Tutti col cellulare in mano, qualcuno anche un foglio stampato e qualcun altro la scatoletta col campione delle urine. Quasi nessuno si mette a conversare. Sarà un giorno caldissimo e, si sa, nei giorni caldissimi ci si affievolisce un po’ sin dal mattino.
Un uomo fa versi rumorosi per intervallare imprecazioni tremende, laggiù, semi nascosto dietro i secchi delle immondizie, sull’altro lato della strada. “E’ un matto” commenta uno, rivolto verso la persona che l’accompagna. Non c’entra con noi.
Sono le sette e dieci quando aprono i cancelli e una delle porte a vetrina. Ne viene fuori un tizio, sull’agitato, che si mette a chiedere il numero di prenotazione ai primi che si trova davanti, quindi li muove come fossero pedine, ma solo attraverso i gesti e, dando precedenza a chi ha il numero più basso, inizia a costruire una fila indiana molto lasca.
Noi, più dietro, una volta compreso il meccanismo, ci organizziamo da soli. Ci si chiede il numero di prenotazione, poi ci si sposta spontaneamente. In qualche caso scappa un sorriso.
La fila è già lunga quando, dopo poco, arriva un ragazzo con uno zaino grosso agganciato a una spalla, un marsupio attorno alla vita e molte cose in mano. Sale la scalinata affiancando la fila, fino al funzionario. Gli dice quel che è venuto a fare e il numero che gli è stato assegnato. Allora il funzionario mira a un segmento della fila, chiede
a un paio di persone quali siano i loro numeri e poi, con fare autoritario, inserisce il ragazzo in mezzo a due. Qualcuno racconta, non si capisce bene a chi, che ci sono state liti nei giorni scorsi qui. Si sono presi persino a botte. Mi pare strano.
C’è anche una guardia giurata su in cima. Deve essere molto giovane a giudicare dagli occhi e dalla voce. Ha scambiato due parole col funzionario, dopo aver ricevuto istruzioni. Il suo accento del sud mi ha fatto ripensare a tutti i vigilanti che incontravo a Milano, da quelli che mi davano le chiavi dell’ufficio la mattina a quello che mi si appiccicò in un teatrino, una sera freddissima di maggio. Erano tutti del sud. Ho ripensato anche al Gigio. Lui, invece, da un paesino del nord era venuto a sud, a fare la guardia giurata, e io, che ero una ragazzina neanche adolescente e ancora molto infarcita di cultura proletaria mainstream, quella volta gli chiesi “Ma non ti manca casa tua?”. Mi disse “Un po’ sì, ma qui io ho la Tina, sono venuto per la Tina, perché le voglio bene”. Anch’io a Tina volevo bene. Smisi qualche anno dopo, quando il Gigio si capì che sarebbe finito male in quel posto lì, da cui non sapeva prendere
alcunché, e lei non lo portò via, né lo liberò.
Si soffoca, con sta mascherina. Non sono ancora le sette e mezza e fa già un caldo nero – da me l’aggettivo nero connota e rafforza in negativo: caldo nero, freddo nero, fame nera, sete nera, miseria nera, paura nera, vergogna nera. A un punto il vigilante guarda verso noi e senza esitazione si dirige verso il ragazzo con lo zaino, scendendo i gradini coi suoi anfibi invernali. Domanda: “cosa devi fare?”. Usando molte più parole del necessario, quello gli spiega che è lì per il prelievo. Allora lui: “Mostrami la prenotazione, per favore”. E, dopo averla esaminata, “Mantieni un metro dagli altri” gli fa. Quindi se ne torna in cima alla scalinata. Ha quel passo impostato e talmente sottolineato che diresti: ma che coglione. Mentre il ragazzo nero non ha fatto una piega. Solo s’è portato lo zaino dalla spalla destra alla sinistra. 

5 pensieri su “Scala d’attesa

  1. E’ difficilissimo tenere incollato il lettore fino all’ultimo rigo quando scrivi un post così lungo. Tu ce l’hai fatta brillantemente, e quindi ti strameriti il mio follow.

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