Stamattina Angela di nuovo compone l’elenco dei suoi dolori, come spesso, come fosse un canto, e cioè il dono, mentre io sorrido, perché per me ora c’è invece solo un gioco, che valga la pena, ed è tacerli, i dolori, preservarli il più a lungo possibile così, contenibili come sono. E lo sono, contenibili, sennò mica ci sarebbero nati dentro. Un poco mi fa sorridere anche che il suo viso sia tutto incorniciato di goccioline e che queste vadano poi a compattare le ciocche basse della messa in piega del Venerdì, con lei che s’asciuga ogni tanto con un lembo della parannanza evitando di passarlo nei capelli, per non disfarli. Mi fanno sorridere anche il reggipetto-armatura e il busto semi rigido indossati sotto la maglia fattasi stretta e sbiadita, che sembra esser stata rosa.
“Quanta vita mi ha tolto questo caldo!” fa, per concludere, “Anche oggi già non ho più voglia di far niente”, mentre nella mano nodosa stringe un fastello di fili di rampicante e radicchio matto, come lo chiama lei. Ha appena strappato le erbacce che dimoravano sulla linea tra l’asfalto della strada e il cemento del recinto di casa sua, ma era sull’orto sin dall’alba. Ci siamo incontrate: io inspiravo risvegli, lei lavorava. Abbeverava le piante con secchi d’acqua tirata su dal Brenta, trasportandoli per una ventina di metri su di un vecchio carretto – tre giri, quattro secchi per volta. Mi fa sempre tremare il suo approssimarsi alla sponda, e mi sorprende come si saldi all’ultimo strettissimo gradino della ripida mini rampa che taglia in verticale l’argine. “Questa è acqua grassa,” mi disse una volta avvertendo la mia perplessità, “così i rosai vengon su più belli”.
Un paio d’ore dopo l’alba, s’era dovuta per un momento interrompere – un quarto d’ora, poi aveva ripreso. Erano arrivati la figlia, gli obbligatori nipotini e un piccolo cane bianco e muto – stanno pochi chilometri fuori Comune. Dopo aver parcheggiato, ciabattando quei pochi metri avevano raggiunto lenti la casa, tutti quanti intontiti, con lo sguardo intinto in questa foschia vischiosa che oggi, si capisce, scolorerà le donne e nemmeno un poco gli uomini.
“Anche stamattina si sono riaddormentati subito, tutti e tre,” mi sussurra Angela, “la piccola e sua sorella sul mio letto e, in fianco, il cane. Però, lui sul tappeto, eh: in fianco sì, ma in terra! No no, a casa mia le bestie non salgono sul letto, guai”. Dopodiché, con la testa che tende a una spalla, la destra, intreccia passi e vene delle gambe, corregge un minimo tutto quello sbilanciarsi almeno esteriore e s’allontana, mentre mi dice “Ciao, buon lavoro, corri piano”.
Va verso il secchione del verde e degli sfalci, che poco prima aveva posizionato con estrema cura appena fuori dal suo cancello piccolo. Sta spingendo giù con le mani, calcando con tutto il peso che può il contenuto del bidone quando il marito la chiama, da dentro casa. Lei urla: “Cos’hai, cosa vuoi adesso…” e non sono domande. In canottiera bianca, davanti alla tele, il condizionatore in funzione deumidificante perché pare consumi meno, me lo figuro così, lui, al riparo degli scuri accostati – già chiuse pure le finestre, come ogni giorno quando l’afa si spande e tutto ciò che trova scolora.
Che bello, si respira dolcezza.
A volte si lascia stanare facilmente, la Dolcezza.. Ciao Mela, grazie 🌻
Fai proprio venir voglia d’esser lì
Prima che tutto sia cambiato, peró. Un sorriso, Tullio..
Un quadro animato, una scena di un film. Sei molto brava a saper dare sempre il giusto risalto ai particolari e all’insieme
Il particolare e l’insieme… lo sguardo che vorrei saper avere.
Felice di ritrovarti, Romolo
Ecco l’ennesimo dei tuoi meravigliosi normalissimi personaggi, e le poche parole ben incastrate che rivelano il suo mondo.
Normalissime di sicuro sono le persone che mi ispirano, nel senso di normali all’Umano e quindi, direi, straordinarie. Poi, però, non sono così sicura che lo siano anche i personaggi a cui le affido.
Grazie per il feedback, Walter
Correre piano, urlare anche piano
E contenere le vite